Il seguente reportage fotografico mi ritrae per la prima volta nella mia vita, in veste di pescatore.
Era il lontano settembre 1971 e di lì a poco si sarebbero riaperte le scuole ed io avrei frequentato la terza classe del Liceo Scientifico.
Erano le ultime pescate che allora mi era consentito fare, dopo un' estate (da metà giugno al 30 settembre) trascorsa ogni, dico ogni giorno a pescare a cefali nel porto di Molfetta.
Meta preferita era la cosiddetta "Rotonda" ...
Era il lontano settembre 1971 e di lì a poco si sarebbero riaperte le scuole ed io avrei frequentato la terza classe del Liceo Scientifico.
Erano le ultime pescate che allora mi era consentito fare, dopo un' estate (da metà giugno al 30 settembre) trascorsa ogni, dico ogni giorno a pescare a cefali nel porto di Molfetta.
Meta preferita era la cosiddetta "Rotonda" ...
... meta preferita di colui che è stato il mio Maestro di pesca, un anziano signore di quasi allora ottanta anni che aveva la malattia della pesca nel sangue, sin da quando era anche lui un giovanotto.
Trattasi di don Beppe Tattoli il quale, quando era titolare di un pastificio a Molfetta, passava più tempo a pescare che a badare all' azienda (un po' come faccio io con la mia farmacia).
Allora la Rotonda era un posto molto pescoso per quanto riguarda i cefali, che venivano pescati con una tecnica particolare che continuavano a praticare ancora in pochi, e tra questi anche "mastro Antonio" il barbiere, che si vede in piedi nella foto sottostante (altro vero galantuomo).
Si pescava infatti con canne di bambù che, paragonate come peso a quelle attuali, erano davvero pesanti.
In genere erano fatte di tre pezzi: una base di bambù piuttosto spesso come diametro (chiamata "troncone"), una parte centrale molto più corta, fatta di canna nostrana, più leggera (chiamata "il mezzo") ed una cima di bambù "mascolino", cioè con gli elementi, tra un nodo e l' altro, molto corti che rendevano il tutto più rigido (chiamata "il puntale").
Queste canne erano lunghe in genere da 5 a 6,5 metri ... alcune anche 7 metri, ma iniziavano ad essere ingestibili a quella lunghezza.
La lenza era costituita da un filo del diametro di 0,25 o 0,30 mm. (secondo le prede che potevano esserci) a cui si legava un' ancoretta in genere del n° 2 o 3 ... quindi a tre ami, su cui si metteva una pastella fatta di pane e sarde macinate o pestate sul posto.
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La lenza veniva legata al cosiddetto "pistillo", fatto di setole di cinghiale, che era attaccato alla punta del cimino di bambù e fungeva da segnalatore di abboccata.
La lenza veniva legata al cosiddetto "pistillo", fatto di setole di cinghiale, che era attaccato alla punta del cimino di bambù e fungeva da segnalatore di abboccata.
Bisognava dare l' incocciata, quando il "pistillo" si muoveva in maniera tremula, la cosiddetta "mangiata a campanello", segno che il cefalo stava succhiando il pane.
Chiaramente si trattava di una pesca a strappo.
Qui sotto io sono con don Beppe ed il famoso "Vetucc' u' negr' ", alias Vituccio il negro, nomignolo affibbiatogli per tanto che era abbronzato a via di stare a pescare ogni giorno, dalla mattina alla sera.
Era lui il simbolo della pesca sportiva a Molfetta a quell' epoca.
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La pesca del cefalo con l' ancoretta aveva un fascino particolare ed è stata per me una grande malattia per anni, dal 1970 al 1977, quando mi iscrissi per la prima volta alla F.I.P.S. ed iniziai a fare le gare.
Addirittura manco andavo a pranzo per non perdere il posto e, verso le 14,30 mi veniva a sostituire per una mezzoretta (il tempo di andare a mangiare a casa di mia nonna che abitava vicino al porto) il mio amico Roberto, a destra nella foto sottostante, attualmente impiegato presso la mia farmacia.
... tempi bellissimi ...
* Testo e foto di Franco Stanzione.
* Testo e foto di Franco Stanzione.